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lunedì 12 novembre 2018

APPUNTI PER MEDA

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A un anno e passa dall'insediamento della nuova Amministrazione Comunale verrebbe da dire che in qualche modo non ce ne siamo accorti. 
A parte intenzioni e vicende amministrative che si possono definire fisiologiche, necessarie o quasi alla vita stessa di un Ente che deve prendersi cura della comunità che governa, il quasi zero pensiero sulla Meda che vorremmo non depone a favore di una maggiore fiducia sul futuro. 
A meno di smentite con dati di realtà, che all'orizzonte però non si intravedono. Non prendendo per buono il lungo elenco di belle intenzioni del programma elettorale – lo stile di riempirlo di desideri che nulla hanno spesso a che fare neppure con le funzioni di un comune, in verità vale ormai  per tutte le parti politiche – non si poteva prendere troppo seriamente neppure la sua trasposizione nel programma di mandato all'avvio in Consiglio, e neppure i più modesti e realistici documenti di programmazione economica e finanziaria. 
E però è quasi calma piatta, e certo non servono a ravvivare questa percezione dei cittadini oltre il recinto di Piazza Municipio vicende consiliari, regolamentari, commissioni varie, piani e programmi più o meno obbligatori e mozioni più o meno tenute sotto controllo.
È vero che la vita di una istituzione come il Comune è oggi per molti motivi quanto mai difficile, per ragioni di contesto, perché per molti versi è inadeguata ai tempi e ai ritmi dei nostri giorni, perché può contare su poche risorse rispetto alle cose da fare (seppure quello di Meda è messo relativamente meglio di molti altri della zona), perché norme di ogni genere impediscono perfino un approccio razionale a cosa è possibile fare e cosa no, ecc. ecc.. Il sindaco probabilmente lo sa, non solo perché  può contare su una ormai lunga esperienza di amministratore, ma anche perché dentro una siffatta istituzione ci lavora.
Pure, nonostante i dazi politici da pagare per alleanze o linee ideologiche dettate dall'alto, che pesano molto, e tutti i motivi che spingerebbero ancora di più all'immobilismo,  ci sarebbero strade da imboccare e cose importanti da fare anche per un Comune in difficoltà e che non può fare molto per cambiare radicalmente la vita dei medesi. 
Dovrebbe però decidersi a fare cose importanti per la città, non fosse altro per non rassegnarci tutti quanti a raccogliere solo il peggio dei veleni che da venti-trentanni a questa parte sono stati seminati a piene mani – artefice in primo luogo la Lega, ma certo non solo lei - e che ammorbano la nostra esistenza di oggi, e per non lasciare alle più giovani generazioni un futuro di sole macerie.
Non ci chiameremo Impulsi se non dovessimo essere anche propositivi, e così chi vuole, oltre al “manifesto” del gruppo che si trova su questo blog, agli scopi e ai valori irrinunciabili che ci hanno mosso ad avviarlo, chi vuole può anche trovare  proposte, percorribili e rivolte a chi può raccoglierle, e ovviamente in primo luogo a chi ha ricevuto un mandato dai medesi ad amministrarli per quanto riguarda le funzioni del Comune, senza che da cittadini si possa pretendere troppo senza dare, ma certo al meglio delle possibilità.

SULLA CULTURA

Partiamo dalla cultura per cominciare con le proposte. 
Non perché noi di Impulsi non sappiamo che le questioni vengono prima di quelle della "morale", ma perché sappiamo anche che c'è da tempo una proposta che può e deve trovare finalmente forma compiuta a Meda, e per i medesi. 
Ricircola sempre l'idea di dare finalmente - se ne parla da moltissimi anni - alla città di Meda quella che sarebbe la sua istituzione culturale più importante, il Museo del Mobile.
Il Sindaco, da assessore alla cultura, ebbe a presentare nel 2009, insieme al suo autore, un'articolato progetto culturale di ampio respiro sul museo da realizzare, in vista di dargli forma esecutiva e avviare finalmente l'iter per renderlo concreto. 
Poi ci fu il cambio di amministrazione e anche se quel progetto è stato poi acquisito a catalogo da BrianzaBiblioteche, quindi da tutti consultabile, non se ne fece più niente. Ora, a quasi dieci anni passati inutilmente da quella data, l'assessore Santambrogio diventato sindaco ha l'opportunità di riprendere quel progetto e farlo davvero proprio, evitando soprattutto che nasca una qualche istituzione, o peggio un luogo fisico, minuscola, modesta e riduttiva rispetto a quello che la città meriterebbe. 
Meda ha bisogno e merita finalmente quella istituzione culturale che, più di ogni altra, può mostrare alle future generazioni di medesi e allo stesso tempo anche al Mondo, ciò che la città è stata ed è capace di fare nell’ambito della lavorazione del legno, del mobile e dell’arredamento: un museo all’altezza del prestigio della sua tradizione mobiliera.
Ci pare quindi necessario che l'Amministrazione, considerato anche che lo studio approfondito lo ha già in mano, ritenga venuto il momento di considerare tempi, definire risorse e  soprattutto prendere decisioni, sperando almeno che il tempo sprecato in questi anni dai precedenti amministratori abbia lasciato intatte le intenzioni di un tempo dell'assessore Santambrogio. e che le decisioni non siano frutto di una qualche visione da cortile che per lunghi tratti degli ultimi trent'anni ha colpito gli amministratori della città.
Ci aspetteremmo quindi un museo del mobile all'altezza di quello che sanno essere i grandi musei dei nostri tempi, evitando, per favore, che sia solo palazzo Mascheroni, o qualsiasi altro luogo che contenga solo “pezzi da museo” o, peggio, un deposito polveroso di oggetti raccolti e messi lì in bella mostra. Insomma una istituzione culturale nelle forme di un passato ormai ovunque lontano.
E ovviamente immaginiamo che imboccando questa strada, comunque lunga, non tutto sarà in discesa, fin dall'inizio, per il Sindaco. 
Non saranno in pochi a chiedergli perché impiegare tempo e risorse - prevedibilmente cospicue, anche ottenendo finanziamenti pubblici e, si spera, cospicui apporti privati dalle industrie medesi - per creare una istituzione culturale che anche quando dovesse diventare prestigiosa e funzionare al meglio, richiederebbe un costante e notevole sforzo economico. In fondo, a chi può interessare un museo del mobile a Meda?  L’istituzione museo non è certo in cima alle infrastrutture o ai servizi che la gente ritiene importanti per costruire un futuro migliore!
La risposta che interessa "ai medesi!” potrebbe anche essere immediata, ma non basterà ai critici una generica predisposizione d’animo, considerato che certamente l’istituzione di un museo richiede tempo, fatica e un dispendio di risorse economiche non indifferente. Si deve loro, necessariamente, una risposta fondata allora su interessi reali.
Per far comprendere quanto il museo del mobile possa avere valore per la nostra città non sarebbe in verità necessario fare valutazioni solo in termini economici e finanziari, di rapporto costi-benefici, che pure per altri versi sono la misura di un interesse pubblico alla buona gestione, da tenere sempre in considerazione. I buoni governanti  di qualunque livello istituzionale saprebbero indicare la strada da prendere senza dare troppo peso alle facili critiche, ma di costoro se ne vedono molto pochi in giro di questi tempi.
Ci sono infatti componenti immateriali essenziali per una comunità, perfino per la sua esistenza, e che sono del tutto evidenti. 
Un museo può avere in primo luogo valore "identitario" - ovviamente non nel senso becero che va tanto di moda e che serve a raccattare voti facilmente - e svolgere funzioni educative per vecchie e nuove generazioni, aggiungere sempre e comunque elementi positivi a quell’insieme che per una comunità si può definire “qualità della vita”.
Il museo del mobile di una città come Meda servirebbe a declinare ed esplicitare a tutti le virtù di questa città, i suoi “meriti”, la sua storia, concetti che valgono di per sé, senza necessità di ragionamenti e confronti di idee, apoditticamente, almeno per chi li sente propri. Una funzione che peraltro non potrebbe essere più "pubblica" di così, ossia che non può non riguardare tutti.
Ma il museo interesserebbe anche un grande numero di "privati", che godrebbero dei molti vantaggi indiretti che un museo come quello medese potrebbe produrre: dai visitatori (un mondo ampio e variegato) ai concessionari di servizi aggiuntivi, dagli esercizi medesi interessati alle ricadute del turismo culturale agli sponsor che agiscono per motivi commerciali, dai clienti dei molti servizi che il museo può generare alle comunità scientifiche e professionali di tutto il mondo.
La città ama autorappresentarsi e viene rappresentata sui media, nelle copertine e nelle pagine locali come in quelle specializzate, per i suoi mobili, in particolare negli ultimi cinquant'anni per il design delle firme più prestigiose e delle aziende più rappresentative. Ma anche per la sua filiera completa - che altri non hanno - per il restauro, ecc. 
Un museo che parli della cultura del mobile, del legno e dell’arredamento, in tutte le forme ed espressioni che sappiamo non meno che per gli aspetti della cultura immateriale, rappresenterebbe la vera vetrina del patrimonio culturale ereditato dalla città.
Questa parte del patrimonio, seppure importantissima, è stata finora assai poco considerata nel suo valore a tutto vantaggio delle testimonianze artistiche e architettoniche. 
Sarebbe tempo che un museo cominciasse a valorizzare e promuovere questa eredità e le sue molte forme distintive, giocando così un ruolo essenziale anche per il futuro produttivo.   
Un marchio, vero e unico, che potrebbe accompagnare tutta la comunità medese nel futuro, mettendo in moto anche processi destinati a qualificare l’avvenire della città.
Un museo del mobile può mettere in moto con altre realtà culturali organizzate logiche di sistema impensate e può essere fondamentale luogo e strumento di mediazione di interessi diversi. Il museo potrebbe essere soprattutto lo spazio dove combinare i saperi fino a produrne di nuovi, i saperi dei medesi più anziani insieme a quelli dei "nuovi medesi", tali o perché giovani generazioni o perché persone che vengono anche da molto lontano o dalla Grande Milano, persone che si affacciano tutte quante alla città e chiedono di comprenderla meglio per meglio integrarsi. 
Quest’ultima sembra parola difficile di questi tempi ma in fondo è anch'essa un'impresa possibile: non sono stati pochi, né sono poco significativi gli esempi di chi, venendo da fuori, ha saputo combinare con successo il proprio modo di essere con ciò che di meglio poteva imparare dalla città del mobile.
Un museo potrebbe essere lo strumento per rimanere aperti al mondo che cambia. 
Un luogo d’incontro e passaggio di persone provenienti da ogni dove, accomunate dall’interesse per la nostra città e per la sua cultura produttiva. Il miglior antidoto contro quelle paure dell’incognito futuro che potrebbero spingere molti – non tanto i numerosi imprenditori e operatori medesi che ogni giorno vendono dappertutto, quanto le generazioni a venire - a rinchiudersi in visioni anguste e in un mondo tutto loro, sempre più piccolo, un piccolo mondo antico di oggi,  destinato davvero a soccombere se dovesse chiudersi su se stesso. Anche per questo è utile fare un museo.

IL VERDE, L'AMBIENTE
Anche dal verde, dalla sua tutela non meno che dalla sua fruizione, per cominciare con le proposte. 
Anzi, per proporre di ricominciare, riprendendo fili importanti che sono stati lasciati lì da molto tempo, in qualche caso senza neppure percorsi avviati e tanto meno risultati, di cui oggi sarebbe pure importante che i medesi potessero godere. E non godono.
Intendiamoci, di proposte nella direzione di una migliore sostenibilità e qualità della vita alle varie amministrazioni che si sono succedute in questi decenni ne sono state fatte diverse, ma per lo più esse sono state accolte con insufficiente o nessuna attenzione, almeno rispetto alle possibilità che avevano di diventare concrete. 
Non mancano peraltro ancora oggigiorno azioni, consigli, pareri e suggerimenti da parte di chi ha maggiormente a cuore i temi della sostenibilità della crescita, come alcune recenti e ancora sul tavolo, sul traffico e la mobilità, o quelle connesse a Pedemontana e a talune opinabili scelte urbanistiche. 
Tuttavia, nel solco di una significativa logica di continuità con il passato, permane nella realtà l'insufficiente attenzione a certi temi da parte di chi è chiamato oggi a fare scelte importanti amministrando la città.
Senza trascurare di mettere sotto la lente di ingrandimento le intenzioni e le decisioni dell'amministrazione in corso e di quelle future, per dare anche il nostro contributo alla Meda che vogliamo ci sembra però giusto, intanto, suggerire che si faccia almeno una riflessione sulle molte decisioni importanti che in passato non si sono prese per cercare, ove possibile e seppure con molto ritardo, di fare cose utili per i medesi. 
Ogni tanto non è male tornare con lo sguardo al passato, anche lontano, e cercare di riprendere la strada giusta che al momento si era abbandonata. 
Fra le molte cose importanti che hanno preso una piega decisamente sbagliata ne riproponiamo alcune  all'amministrazione di oggi, pur consapevoli che nessuno restituirà ai medesi gli anni persi e le cose perdute. 
Tre temi sui quali suggeriamo agli amministratori medesi di oggi di provare almeno a ricominciare da dove eravamo rimasti.

ADERIRE AL PLIS BRIANZA CENTRALE

In primo luogo è il caso di dire che dovremmo ripartire dal Parco della Brianza Centrale. 
Diverse le amministrazioni che hanno avuto modo di approfittare di questa importante realtà che intorno a una ventina di anni fa ha salvato i seregnesi dal degrado totale dovuto all'espansione senza freni della loro città. Accadeva da anni ciò è continuato a succedere intorno, Lissone insegna più di tutti, e a quel punto l'amministrazione seregnese di allora decideva di fermarsi a vantaggio delle nuove generazioni. Con tutti i distinguo e le considerazioni critiche che si sono potute e si possono fare, quella decisione ha pesato e pesa molto positivamente sulla qualità della vita dei seregnesi di oggi, che possono, usando la bici o anche solo le proprie gambe, fruire dei grandi spazi verdi della Porada o del Meredo o di altri quartieri.
Quella decisione di tutelare le aree urbane non ancora cementificate fu coraggiosa e soprattutto lungimirante per il fatto che era stata pensata aperta all'ampliamento delle aree tutelate a tutte quelle  che i comuni confinanti avessero voluto aggiungere. Il senso di voler chiamare parco sovracomunale quelle aree e intitolarle a parco della Brianza Centrale stava tutto lì. Indicava una strada, ma nella Brianza dei campanili in competizione, e nonostante gli sforzi di associazioni e comitati sorti in diversi comuni, quella strada a distanza di venti anni non è stata intrapresa. Anzi le aree tutelate hanno avuto non pochi nemici all'interno della stessa Seregno.
Men che meno è stata mai nel programma delle amministrazioni medesi l'idea di tutelare le residue aree di verde, affiancandole a quelle seregnesi ad ampliamento di un Parco esistente. Così nella nostra città si è preferito cementificare i campi ai confini di Ceredo e Meredo, e non solo, in cambio di entrate per pronto consumo. Il danno di certe scelte lo stiamo già pagando e oggi non restano che alcuni fazzoletti di terra ai confini delle aree verdi che Seregno mantiene e tutela e molti medesi frequentano.
Ora la nostra proposta all'amministrazione non può non essere quella di decidere finalmente e in fretta nel senso della tutela di questi "fazzoletti" ai confini col parco. Le forme possono essere  poco dispendiose e la tutela può essere ampliata ad altri fazzoletti di terra che sopravvivono qui e là (brughiera a parte evidentemente), non necessariamente contigui. Sarebbe finalmente un segnale concreto, l'unico che conta davvero, di una inversione di tendenza che si attende da anni.
Altre due proposte guardano al passato, ma in questo caso nelle mani dell'amministrazione medese sta soprattutto la volontà di prendere l'iniziativa, prima ancora di poter decidere nel merito, per avviare con alcune proprietà private un possibile dialogo per dare/ridare al godimento dei cittadini luoghi importanti. Parliamo di luoghi che permetterebbero a molti medesi di godere del verde  vicino casa e senza dover prendere l'auto.

IL PARCO DI VILLA TRAVERSI 


Occorre andare un po' indietro con la memoria, intorno alla metà degli anni Ottanta, quando l'amministrazione di allora stipulò con la nobile famiglia Antonia Traversi una apposita convenzione per l'apertura al pubblico e la fruizione del parco della omonima villa che discende dalla collina che domina Meda. Convenzione utile allora e ancora di più ai giorni nostri, dato l'invecchiamento della popolazione, la progressiva e drastica riduzione degli spazi verdi raggiungibili a piedi e lo svuotamento del nostro centro storico. Ma quella convenzione, stipulata e quindi entrata in vigore non trovò mai effettiva attuazione perché l'amministrazione non onorò mai l'impegno di dare sistemazione a percorsi, manutenere alberature e arredi lungo di essi e occuparsi di quanto potesse ancora essere necessario per rendere fruibile un parco urbano di dimensioni pur ridotte.
La convenzione fu in quel momento il punto di arrivo di una volontà politica che pensava che l'ente Comune dovesse occuparsi di ogni cosa che sapesse di ricreativo o culturale e gestire in proprio tutto ciò che ne era connesso, ma erano già evidenti le criticità di questa visione. 
Comunque poco importa se la mancata attivazione della convenzione di allora fu dovuta a ripensamenti, mancanza di risorse o quant'altro, perché rimane il fatto che nonostante la grande apertura e disponibilità della famiglia Antona Traversi verso la città e le sue istituzioni, allora come in tutti questi anni ormai trascorsi, i medesi non hanno potuto godere di quell'accordo e di quel parco nel cuore della città.

Ora è il caso che l'amministrazione che guida la città provi a rinnovare, oltre trent'anni dopo, il tentativo, con intenzioni più serie di allora, di concludere un accordo nello stesso spirito di collaborazione di un tempo. Posto che la disponibilità e la sensibilità della proprietà verso la città è sempre stata alta. Almeno il tentativo andrebbe fatto, posto che ne godrebbero i medesi che hanno maggiore necessità di godere del verde, della natura o semplicemente della frescura estiva, considerato peraltro che anche questi beni sono ormai a rischio per molti, o perché sempre più a pagamento, esclusivi oppure oggetto di politiche di esclusione attuate in varie forme: ingressi a pagamento, parcheggi salati nelle vicinanze, ecc.

Un parco pubblico nel cuore della città non risponderebbe solo a esigenze ecologiche e di vivibilità ma contribuirebbe anche a garantire beni che si stanno perdendo nelle forme che abbiamo conosciuto. Anche se si tratta di aria buona e ristoro dal caldo ci sta sfuggendo sotto gli occhi che anche essi, come molti di quelli “comuni”, stanno diventando sempre di più a pagamento e per pochi.

LA ZOCA DE' PIRUTITT 

Più recenti le vicende che hanno portato all'abbandono della Zoca de' Pirutit, restituita alla natura rispetto a come è stata conosciuta dai medesi fino a non molti anni fa per via di vicende giudiziarie seguite alle improvvide e arroganti iniziative della prima amministrazione Taveggia a danno della proprietà. Quelle "iniziative" furono sconfessate in ogni grado di giudizio per via dell'abuso delle funzioni e delle prerogative dell'ente Comune.  Come era del resto prevedibile fin dall'inizio.
Le conseguenze di parecchie scelte di quegli anni, approssimative per usare un eufemismo, continuarono a pesare assai negativamente sulla vita dei medesimi per gli anni a venire e in diversi casi pesano ancora oggi. 
La vicenda della Zoca è solo una di queste: la proprietà, espropriata nei suoi diritti, ha interrotto, comprensibilmente, ogni rapporto con l'istituzione e con chi quello spazio e le strutture connesse aveva organizzato e curato. Nella sostanza ci hanno rimesso i medesi.
Chi non ricorda - sono passati del resto solo pochi anni - cos'è stata la Zoca per diversi decenni: luogo di ritrovo quotidiano per molti, di aggregazione per amici di ogni giorno e per coloro che vi si recavano saltuariamente, di sosta durante passeggiate brevi e lunghe arrivando dalla città o dai sentieri della brughiera. È stato anche il luogo per molti ragazzi di prendere per la prima volta una canna da pesca in mano, magari in occasione dei giochi della gioventù di un tempo, e anche il luogo per molti insegnanti di educare i bambini alla scoperta della natura. Perché la vita quotidiana in quel luogo, il costante lavoro di manutenzione dei molti volontari che vi si dedicavano ogni giorno e strutture e arredi che la costituivano non offendevano il contesto più selvatico che la circondava e che oggi la sovrasta, lasciando a chi capita nei pressi un senso di abbandono e di angoscia per quello che resta.
La Zoca è stata queste cose e molte altre ancora. E che possa tornare ad esserlo rimane in tutti quanti solamente una speranza. 
Ora l'amministrazione potrebbe, anche in questo caso, almeno "provarci" a confrontarsi con la proprietà, avendo in mente una qualche forma di ritorno a ciò che era, cercando di ragionare con essa su cosa sarebbe possibile fare e a quali condizioni.
Tenendo ovviamente conto che ciò che è stato non si conciliava e non si concilia con il nostro contratto sociale che sacrifica la proprietà privata solo nei casi di evidente necessità pubblica. E anche del più importante bene di tutti. Certo che non ci sogniamo minimamente di immaginare che l'amministrazione debba vendersi l'anima per vedere poi stravolto quel luogo e/o ciò che lo circonda. Troppe amministrazioni che si sono succedute in questi anni lo hanno fatto e in troppe occasioni.
Non è affatto quindi il caso di immaginare scambi che possano avere un impatto negativo sulla natura di quel luogo e di quella della brughiera intorno. 
Tanto più che oggi quest'ultima è finalmente tutelata da un parco regionale e quindi interessa anche una istituzione dalla cui volontà non si potrà prescindere. 
Non manca peraltro chi preferisce, all'opposto, che la Zoca torni completamente alla natura di un tempo lontano, posizione certo eticamente condivisibile per alcuni versi, ma certo i medesi non hanno sofferto nei decenni passati per mostri ecologici o danni ambientali per la presenza delle strutture che erano "la Zoca".
La proposta è quindi per un tentativo di approccio Comune-Proprieta che restituisca ai medesimi quel luogo per ciò che era, anche se magari, forse necessariamente, in forme giuridicamente e concretamente diverse. E comunque sostenibili. Per giovare a tutti i medesi, e come per il parco urbano di Villa Traversi che poteva essere e non è stato, in particolare a coloro che sono più fragili e non possono abitualmente frequentare nel week-end un green per giocare a golf o esclusive palestre e spa lontane e costose.