Il discorso politico, ora divenuto “annuncio” è da sempre un formidabile mezzo per influenzare il dibattito pubblico, generare consenso per ottenere risultati rispetto agli obiettivi prefissati.
In concomitanza con una società sempre più frammentata e divisa come quella attuale senza un interesse comune collettivo, c’è un uso spregiudicato di un linguaggio intollerante, aggressivo e pregiudizievole, da cui sembrerebbe impossibile non prescindere.
Anche il ribaltamento del reale e la manipolazione di fatti e notizie di cronaca e della quotidianità concorrono ad avvelenare il panorama di una corretta e veritiera informazione.
Questo mixer punta a suscitare emozioni e non ragionamenti e volontà d’approfondimento.
Sono poi le emozioni a risultare determinanti nei comportamenti e nel formarsi delle opinioni.
Così si finisce per concedere autorevolezza e considerazione a chi non manifesta alcun dubbio nell’individuare l’origine e la causa di tutti i mali in un gruppo umano.
Non fa eccezione lo scrivere della legge su sicurezza ed immigrazione recentemente varata dal governo Lega-M5S qualora si provi, come nel nostro caso, a proporre ai cittadini informazioni e riflessioni delle sue ricadute sul nostro territorio.
E’ quindi indispensabile disporre di strumenti di valutazione per una lettura critica della realtà, superando i luoghi comuni e le cosiddette “fake-news”.
L’argomento immigrazione ha in questo senso un valore simbolico e ci offre l’occasione di trattare il tema della propaganda in un’epoca di comunicazione eccessiva, veloce e superficiale.
Il gruppo IMPULSI-SOSTENIBILITÀ e SOLIDARIETÀ ha chiesto al prof. Marcello Maneri, docente di sociologia dei media all’Università Bicocca di Milano, un aiuto per comprendere modalità e la pericolosità di queste espressioni comunicative così da poterci difendere acquisendo e sviluppando le capacità per individuare la narrazione tossica, svelarla e, auspicabilmente, contrastarla.
Anche il ribaltamento del reale e la manipolazione di fatti e notizie di cronaca e della quotidianità concorrono ad avvelenare il panorama di una corretta e veritiera informazione.
Questo mixer punta a suscitare emozioni e non ragionamenti e volontà d’approfondimento.
Sono poi le emozioni a risultare determinanti nei comportamenti e nel formarsi delle opinioni.
Così si finisce per concedere autorevolezza e considerazione a chi non manifesta alcun dubbio nell’individuare l’origine e la causa di tutti i mali in un gruppo umano.
Non fa eccezione lo scrivere della legge su sicurezza ed immigrazione recentemente varata dal governo Lega-M5S qualora si provi, come nel nostro caso, a proporre ai cittadini informazioni e riflessioni delle sue ricadute sul nostro territorio.
E’ quindi indispensabile disporre di strumenti di valutazione per una lettura critica della realtà, superando i luoghi comuni e le cosiddette “fake-news”.
L’argomento immigrazione ha in questo senso un valore simbolico e ci offre l’occasione di trattare il tema della propaganda in un’epoca di comunicazione eccessiva, veloce e superficiale.
Il gruppo IMPULSI-SOSTENIBILITÀ e SOLIDARIETÀ ha chiesto al prof. Marcello Maneri, docente di sociologia dei media all’Università Bicocca di Milano, un aiuto per comprendere modalità e la pericolosità di queste espressioni comunicative così da poterci difendere acquisendo e sviluppando le capacità per individuare la narrazione tossica, svelarla e, auspicabilmente, contrastarla.
Professor Maneri, può offrirci la
definizione di “Propaganda”?
Quando nasce e come
si è evoluta?
Ovviamente la Propaganda è presente da
sempre, da quando esiste la necessità di
persuadere qualcuno.
Il termine propaganda credo nasca
all’epoca della Controriforma.
Allora venne creata la congregatio
de propaganda fide, una struttura della Chiesa cattolica che doveva
“opporsi” alle idee della riforma facendo una propaganda basata sulla disseminazione
di idee ortodosse, in particolare rispetto alla lettura che si dava del
Vangelo.
C’è da segnalare un passaggio
fondamentale: se la propaganda richiede la disseminazione, è chiaro che senza
degli strumenti atti alla disseminazione si può fare solo della persuasione.
L'invenzione della stampa fu tra questi
strumenti.
Infatti i testi più stampati all’inizio
sono stati proprio le Tesi di Lutero e la Bibbia, lavori strettamente collegati
con la propaganda; con lo sviluppo e l’affermazione dei moderni mezzi di
comunicazione di massa, la propaganda diventerà un’attività sempre più centrale
ed essenziale, utilizzata in particolare durante di conflitti armati (che sono
quelli più studiati e noti) e nella battaglia politica.
Storicamente è noto che la propaganda crebbe
notevolmente durante la prima guerra mondiale che fu grande occasione di
elaborazione di strategie su larghissima scala con un momento particolarmente
significativo allorquando l’Inghilterra riuscì a trascinare gli Stati Uniti nel
conflitto.
I servizi segreti inglesi
intercettarono il telegramma Zimmerman, lo manipolarono e lo fecero arrivare a
quelli americani, facendo credere che l’impero tedesco stesse pianificando
l’invasione degli Stati Uniti da parte del Messico.
Ma non era una novità perché tutto lo Yellow
Journalism, la stampa sensazionalista americana a cavallo tra ottocento e
novecento, era specializzata in propaganda.
E' famosissima la frase attribuita a
Hearst, che era il grande tycoon dei giornali scandalistici dell'epoca (quello
rappresentato poi nel film Quarto Potere di Orson Welles) che, in
occasione delle tensioni e delle diatribe tra Stati Uniti e Spagna su Cuba, a
quel tempo importante colonia spagnola in Centro America, disse al suo
disegnatore: “tu pensa alle vignette, che alla guerra ci penso io”. Hearst, pubblicando
sui suoi giornali a caratteri cubitali storie inventate e costruendo dei casi,
contribuì in maniera determinante a far precipitare la situazione e ad
orientare l’opinione dei lettori a favore del conflitto in modo da far entrare
in guerra gli Stati Uniti contro la Spagna.
La comunicazione
politica affidata agli esperti, manifesta una cura attenta alle parole. In che
modo la persuasione diventa manipolazione? Cosa le differenzia?
La persuasione in sè non è
necessariamente manipolatoria. Ovviamente qualsiasi affermazione è parziale,
soggettiva, ma si tende a parlare di manipolazione quando abbiamo non solo la
ripetizione di messaggi in modo ossessivo, la diffusione di massa di certi
argomenti, come nella persuasione e nella propaganda, ma una vera e propria
alterazione dell'apparenza, una torsione strategica dell'informazione con la disseminazione
di notizie false, oppure dando importanza e facendo apparire enormi fatti che
in realtà sono magari di portata minima.
Nei paesi anglosassoni si tende a
distinguere, chiamando Black Propaganda solo quella che persegue, magari
con la regia dei Servizi Segreti (Intelligence), la strategia di diffondere
notizie false, ingannevoli e pericolose.
Possiamo ragionevolmente
considerare la democrazia minacciata da un uso strumentale dell'informazione?
Io penso di no, nel senso che l'uso
strumentale dell'informazione è inevitabile, c'è sempre stato e ci sarà sempre.
Le persone, le istituzioni e le testate giornalistiche lo fanno. Non mi
preoccuperei troppo di questo.
Il problema è il monopolio, cioè quando
o per un controllo da parte dello Stato o per un controllo da parte di forti
interessi economici, i grandi mezzi d'informazione, come storicamente sono
stati, sono controllati da pochi soggetti. Ovviamente questo è un problema per
la democrazia, ma lo è sempre stato.
Noi viviamo in democrazie che sono
afflitte dal problema di un'informazione non equilibrata.
Oggi ci sono dei processi in atto che
vedono sempre meno monopolio rispetto ad una volta. Ci sono le televisioni
private, le radio private, tutti possono entrare in rete e disseminare
informazioni.
C’è però anche un degradamento generale
dell’informazione, una perdita di professionalità nel giornalismo per cui le
informazioni cui accediamo non sono più false di prima, ma i controlli, la
prevedibilità della falsità delle notizie sono sempre più difficili da eseguire
e gestire.
Qual è incidenza dei
social nel formare un'opinione? Sono più meno efficaci dei mass media tradizionali?
C’è una circolazione dell'informazione bidirezionale.
Per
esempio, i giovani si informano sempre di più tramite social ma tramite i
social vanno a finire sui siti delle grandi testate giornalistiche.
Però i social introducono alcune
novità, oppure accentuano alcuni caratteristiche.
C'è il fenomeno della
disintermediazione.
Salvini e altri pubblicano i loro tweet
e i loro follower li possono leggere direttamente senza aver bisogno di un
giornalista che faccia da mediatore e che ponga loro domande.
Questo ha modificato la natura del
discorso politico accelerando un cambiamento già in atto. Già prima il politico
rivolgendosi alle persone comuni cercava di impiegare un linguaggio comune, ma
oggi l’utilizzo di strumenti che richiedono la massima concisione e quindi
semplificazione, ha molto degradato la complessità del messaggio politico.
Dall’altra c’è il fatto che mentre prima eravamo tutti esposti alla stampa e
alle televisioni che erano pure loro parziali e condizionanti e rispondevano a
determinati interessi egemoni, oggi c’è il fenomeno delle camere d’eco. Così i
miei amici su Facebook o i miei followers o chiunque con cui twitti, sono
persone per molti versi simili a me e quindi io finisco per espormi
tendenzialmente a messaggi che confermano già le mie idee; questo può creare
una situazione d’isolamento per cui non ci si rende conto di vivere in un mondo
di percezioni proprie.
Le
modalità d'utilizzo dei social sono sempre abbastanza frettolose, perché mentre consultiamo Facebook ci arrivano le mail oppure chiacchieriamo.
E’ favorita oltretutto l’esposizione a notizie
sensazionalistiche, iper semplificate, che toccano immediatamente le emozioni.
Sono quelle notizie che catturano maggiormente l'attenzione di un consumatore
che è estremamente distratto, che non sta certamente leggendo un articolo a
tutta pagina del New-York Times. Quindi in questo senso i social media sono uno
strumento molto potente nel formare opinioni, magari anche di breve periodo,
magari anche evanescenti che però, per esempio nelle campagne elettorali,
possono essere decisive.
I social media, per natura
bidirezionali, permettono agli individui di accedere alla sfera pubblica, cosa
molto positiva in sè, ma senza filtro, prerogativa dei media tradizionali,
dando spazio alla comunicazione con contenuti d'odio. D'altra parte aprire alla
massa significa accettare le conseguenze anche negative.
Quali colpe e
responsabilità, sempre che ne abbia, ha il sistema d’informazione tradizionale
stampa e tv nell’aver lasciato spazio ai social nell'informare?
Non è che il sistema dei media
tradizionali abbia lasciato spazio ai social nell'informare, semplicemente non
poteva impedirglielo. Quello che è successo è che i media tradizionali hanno scimmiottato
i social media ricercando e perseguendo la tempestività. Quando accade qualcosa
di rilevante è importante arrivare per primi nel mondo online e quindi non si fanno
più le verifiche come una volta. Si insegue la notizia del momento senza
fermarsi un attimo a ragionare e riflettere.
Prima c'era tempo fino alla mezzanotte,
a chiusura del giornale, per discutere e decidere che taglio dare alla notizia,
ora sulla pagina online in 5 minuti bisogna uscire con la notizia e questo
favorisce ovviamente la diffusione di notizie false e la semplificazione.
C’è dunque un problema nello
scimmiottamento delle specificità dei social media da parte dei media
tradizionali che si trovano a giocare una sfida molto difficile perché perdono
lettori e quindi pubblicità. I giornali tradizionali sono poi poco o per nulla
letti dai giovani.
Differente è il caso dei telegiornali
che in Italia sono ancora molto seguiti.
In questa situazione, il giornalismo
italiano che già non brillava per qualità, oggi ha trovato l'occasione per fare
peggio. Questo però è un fenomeno generale che riguarda anche altri paesi.
Nel caso invece specifico dei
migranti e più in generale delle minoranze, quali strategie adotta la
propaganda e quali tecniche utilizza? Manipolazione e disinformazione sono
usate entrambe contemporaneamente? E poi perché serve indicare un nemico?
Sia i media tradizionali che i nuovi
media si sono comportati in maniera estremamente simile; è questo il motivo per
il quale non li metteremo uno da una parte e uno dall'altra. Cosa hanno fatto e
continuano a fare? Hanno scelto notizie cui dare attenzione in maniera molto
selettiva. Fatti di cronaca nera che vedevano persone di origine straniera come
autori di un reato hanno ricevuto un'altissima visibilità, soprattutto nei
periodi elettorali
Oggi ormai la campagna elettorale è
quasi permanente e quindi questo fenomeno si dilata sempre di più. In una mia
ricerca ho guardato l'uso degli appellativi.
Si usa l'appellativo che esplicita la
condizione di straniero, di immigrato, molto più facilmente quando la persona
ha compiuto un reato, se invece lo subisce magari lo si descrive genericamente
come un uomo o un giovane o una donna. C'è proprio un'idea della problematicità
che deve essere ricondotta allo straniero per una serie di ragioni: perché fa
più notizia, perché colpisce di più l'attenzione del lettore, perché conferma
certi pregiudizi.
L’immigrazione appare la causa di tutti
i mali: dalla crisi del welfare, alla criminalità, al terrorismo, alla fine
della nostra cultura eccetera. I media non ci parlano mai di quanto
l'immigrazione possa costituire la soluzione a tutta un’altra serie di problemi
quali l’invecchiamento della popolazione, la scarsità di assistenza domiciliare,
l’equilibrio dei conti dell’INPS, la necessità di forza lavoro.
Ovviamente ci sono soggetti che cercano
di inserire nell'arena del dibattito pubblico questa prospettiva ma di fatto se
facciamo anche una ricerca su Google per parole chiavi e digitiamo "questione
immigrazione", scopriamo che tutte le testate, di destra come di sinistra,
usano l’espressione "il problema dell'immigrazione": nessuna che
parli dell'immigrazione come opportunità.
Un'altra caratteristica della
propaganda utilizzata dai governi e ripresa senza contraddittorio è di trattare
i fenomeni migratori in modo emergenziale.
Si dice sempre: l’Italia è impreparata
al fenomeno delle immigrazioni. Un’affermazione ridicola poiché si sta parlando
di un fenomeno che è iniziato negli anni '80, da più di trent'anni. Eppure l'Italia
si autodefinisce ancora impreparata a governarlo e continua trattarlo come un
fenomeno emergenziale.
Molte e buone ricerche, mostrano come spesso
nelle gestioni dei rifugiati, si ricerca e si crea volutamente “l’emergenza” per
poter chiedere all'Europa aiuti e ricollocamenti negli altri paesi.
A questa costruzione, si prestano e
sono complici quella parte dei media che punta al sensazionalismo, che cerca
sempre di pompare la notizia e che grida facilmente all'allarme e all'emergenza.
Tutto questo ha alimentato la paura dell'immigrazione
perché è percepita come causa di emergenze che non si sanno come gestire.
Negli ultimi anni, c'è stata ad opera di un certo
ceto politico, una criminalizzazione della solidarietà, di qualsiasi forma di
solidarietà, in special modo verso chi offre un primo soccorso in mare.
Sono finite sotto tiro le ONG con la
partecipazione molto attiva della procura di Catania, in particolare modo del
procuratore Zuccaro, che le ha accusate di ogni misfatto. Successivamente queste
accuse sono cadute, senza arrivare ad un processo perché non c'era nessun tipo
di evidenza.
Questa operazione è comunque riuscita
nell’intento di creare nell’opinione pubblica un clima di diffidenza nei
confronti delle ONG, facendo perdere loro finanziamenti.
L’ostilità delle direttive governative che sono
seguite ha costretto buona parte delle ONG a ritirarsi dalle missioni in mare.
Se questo è potuto accadere è perché i media
hanno collaborato alla macchina del fango facendo da cassa di risonanza a una
narrazione, preparata da spin doctor, esperti di comunicazione politica, che abbinava migranti e terrorismo
e costruiva l'idea che ci fosse una complicità di tipo quasi malavitoso tra le
ONG e i cosiddetti “scafisti”.
Additare pericoli e nemici riprendendo e
diffondendo notizie e racconti su misfatti ed atrocità in modo da demonizzarli
sembrerebbe essere più una specificità dei social media.
Nell'ultima campagna elettorale per esempio, un
giornale locale ligure ha pubblicato la notizia di un rifugiato in un centro di
accoglienza che aveva arrostito un cane trovato morto.
Quel fatto è stato ripreso e modificato dai
social facendo credere che gli immigrati si organizzassero per uccidere e arrostire
cani, e dunque bisognava pensare a come proteggere i cani che circolavano vicini
ai centri di accoglienza.
E’ stato creato un caso nonostante si trattasse,
ovviamente, di una persona con squilibri mentali e ancora oggi se si cerca in
internet, questa storia così trasformata la si trova perché, a differenza dei
telegiornali in cui lo spazio dedicato alla notizia dura il tempo della
lettura, una caratteristica della rete è di avere una memoria lunghissima da
cui poter continuamente attingere.
Succede che leggende metropolitane, se ben
confezionate tanto da risultare, anche se smentite, credibili, ritornino
continuando a svolgere la funzione per cui erano state trasmesse.
E’ decisamente cambiato il panorama mediatico:
molte notizie false vengono create non solo da professionisti della propaganda
e della manipolazione ma a volte anche da persone, non necessariamente
ingaggiate come consulenti, con il semplice obiettivo di fare soldi.
In Italia è venuto alla luce il caso di un tale
che in un’intervista dichiarava di redigere, per un determinato sito, fake
news, riguardanti in larga misura il tema dell’immigrazione, non per ragioni
politiche bensì per aumentarne gli introiti pubblicitari mediante
visualizzazioni.
Un’inchiesta giornalistica ci ha rivelato che con
le stesse modalità appena descritte, ragazzi di un piccolo paesino della
Macedonia si guadagnavano compensi, impensabili nel loro paese, durante la
campagna presidenziale di Trump proprio pubblicando notizie false contro la
Clinton.
Questa remunerazione pronta dei social media per
qualunque cosa ottenga dei click, attraverso quelle che sono chiamate esce da
click, ha innestato un fenomeno per cui è maggiormente profittevole oltreché meno
faticoso produrre notizie false.
Come confermato da una ricerca pubblicata su
Science, più la notizia causa indignazione, disgusto, paura, sorpresa –
emozioni suscitate più facilmente dalle notizie false, congegnate proprio a
questo scopo – più velocemente e ampiamente si diffonde. In definitiva le
notizie false (fake-news) funzionano meglio di quelle vere.
Non è semplice comprendere immediatamente che ciò
che si legge è una notizia falsa. Se acquisto il New-York Times, so che si
tratta di una testata che ha un’aurea di autorevolezza, così come so pesare le
notizie se acquisto un giornale scandalistico.
Una notizia linkata su Twitter o su Fb ci appare
nello stesso modo sia che provenga dal New-York Times sia che venga da un
giornalino scandalistico.
Sui social tutto si appiattisce e facciamo più
fatica a capire qual è la differenza alimentando questa tendenza.
Di questo se ne sono accorti ormai i vari addetti
alle pubbliche relazioni e i vari rappresentanti politici. Si calcola che nella
recente e vittoriosa campagna per l’elezione a presidente del Brasile, Bolsonaro
abbia utilizzato 40/50 mila gruppi pubblici su Whatsapp.
Lì
gli elettori hanno ricevuto messaggi che riportavano
quasi sempre notizie o immagini almeno parzialmente false.
Sono messaggi e comunicazioni che ci arrivano dai
nostri amici e conoscenti, perché i gruppi su Whatsapp hanno questa caratteristica,
per cui ci fidiamo e non dubitiamo.
Tutti noi, senza distinzioni,
siamo fortemente esposti alla propaganda perché alla ricerca costante di
spiegazioni e soluzioni e la tipologia comunicativa veicolata attraverso i
social media ci rende pigri, ogni spiegazione e ogni soluzione che comporta
poca fatica ci appaga. Quale metodo e quali attenzione, quali esercizi,
allenamento dobbiamo mettere in pratica per tutelarci efficacemente, sempre che
lo vogliamo fare? Questo è sufficiente o dobbiamo fare di più? E come la si
ostacola nel momento in cui decidessimo di porre un limite?
Il tema è molto
spinoso perché non esiste una facile soluzione.
A livello istituzionale si è puntato molto sul responsabilizzare
le piattaforme che dovrebbero occuparsi direttamente della rimozione dei
contenuti falsi tuttavia il confine tra vigilanza sulle notizie false e censura
e i costi che questo comporta per le piattaforme rende la cosa veramente molto
difficile.
A livello individuale si possono fare molte cose,
nessuna è in sè risolutiva però ritengo che adottare tutta una serie di
accorgimenti e di cautele possa essere molto utile.
Naturalmente questo cambia molto a seconda di
quanto noi conosciamo un argomento, più ne siamo esperti e meno facilmente
cadiamo in notizie false perché siamo in grado di comprendere le implicazioni
di una notizia e la sua verosimiglianza.
Certamente non possiamo essere esperti di
tutto.
In rete si trovano diversi vademecum, alcuni
fatti anche molto bene, proprio per difendersi dalle fake news.
Il primo punto è capire chi ci sta dicendo
qualcosa, quindi quando vediamo la notizia, dobbiamo risalire alla fonte.
Andiamo a controllare il link: il link corrisponde ad un reale sito di
informazione? Guardiamo bene nella pagina in cui siamo, perché spesso i siti
che diffondono fake news, per cautelarsi hanno un disclaimer in cui indicano
che si tratta di un sito di satira. Perché e quando è stata scritta la notizia?
E’ una notizia vecchia o è recente? Facciamo una ricerca con Google, magari
scopriamo che si tratta di una notizia già uscita anni fa ed è stata recuperata
e riproposta come attuale oggi.
Lo stesso, vale per le immagini. Con Google
Immagini noi possiamo fare una ricerca inversa cioè caricare un'immagine e
vedere se quest'immagine era già negli archivi di Google e scoprire se veniva
da tutt'altra situazione e contesto e non rappresenta ciò che pretende
di rappresentare.
Controllare le dichiarazioni: se provengono da
una persona nota, potremo selezionare la frase ed indagare in rete se è rilanciata
da altre fonti, di quelle che di solito sappiamo essere autorevoli. Possiamo controllare l'url,
cioè l'indirizzo internet di provenienza per verificarne l’affidabilità. Infine
quello che bisognerebbe sempre fare, è confrontare e consultare più fonti
d’informazione di provenienza differente dalla nostra ristretta cerchia.
Serve anche il buon senso. Se una storia appare troppo
bella per essere vera, se provoca una reazione troppo forte, se sembra spiegare
qualsiasi cosa, forse c'è ragione di dubitare perché le cose vere spesso sono
più modeste, più noiose, meno di impatto.
E’ poi fondamentale non condividere mai una
notizia, un'informazione o una dichiarazione senza verificarla prima.
Invece di fare click e inoltra, click e
condividi, porsi il dubbio sulla veridicità. Un conto è cascare nella trappola
noi stessi e un conto è attirare nella trappola altri cento, duecento, trecento
dei nostri contatti.
Nel web c'è una risorsa sempre utile, anche se
non in tempo reale. Sono i siti anti-bufala quelli che fanno fact-checking;
sono parecchi e fanno un lavoro piuttosto serio per ricostruire l'origine e lo
status di una notizia che circola on-line verificandone la veridicità o la falsità.
Marcello
Maneri insegna Media, comunicazione e società all’Università Milano-Bicocca. Si
è occupato del rapporto tra informazione e potere, di sociologia del
razzismo, della costruzione sociale della criminalità e della sicurezza
anche conducendo una serie di ricerche sul discorso
pubblico sull’immigrazione. Su questo argomento ha pubblicato, tra gli
altri, “Si fa presto a dire ‘sicurezza’. Analisi di un oggetto culturale”,
in Etnografia e Ricerca Qualitativa (n. 2, 2013), “I media e la guerra
alle migrazioni”, in S.Palidda (a cura di) Razzismo democratico (2009), “Il panico
morale come dispositivo di trasformazione dell’insicurezza”, in Rassegna
Italiana di Sociologia (n. 1, 2001), “Lo straniero consensuale. La
devianza degli immigrati come circolarità di pratiche e discorsi”, in A.
Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico (1998).
Per chi volesse approfondire il tema degli
strumenti di tutela:
Associazione Carta di Roma nata per dare
attuazione all’omonimo protocollo deontologico per una informazione corretta
sui temi dell’immigrazione https://www.cartadiroma.org/
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